su "La Repubblica" di Domenica 28 Settembre, nella rubrica "Storie di Piemonte", l'articolo "I trent'anni di corsa del podista filosofo",a firma di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.
Qui, alcuni pillole dell'intervista di Petrini a Marco Olmo, avvenuta pochi giorni prima nella sua casa di Robilante.
Qui, alcuni pillole dell'intervista di Petrini a Marco Olmo, avvenuta pochi giorni prima nella sua casa di Robilante.
Lo Sport
La gara della vita
l'articolo - da La Repubblica del 28-09-2008
I trent'anni di corse del podista filosofo
Cuneese di Robilante, operaio, ha cominciato a correre all´età in cui molti decidono di chiudere con l´agonismo: e non si è più fermato. Per due volte di fila ha vinto l´Olimpiade delle ultramaratone attorno al monte Bianco, mettendo in fila gli atleti americani
di Carlo Petrini
Faccio questa premessa perché ho qualche esitazione nel presentare uno dei miei recenti incontri, quello con l´ultramaratoneta di Robilante, Marco Olmo, "semplicemente" come corridore. Certo, i sempre più numerosi siti e servizi a lui dedicati snocciolano il suo palmarès al pari di qualsiasi altro valente atleta. Ma in lui c´è altro, al punto di fargli trascendere l´ambito dello sport e inserirlo in una categoria che, non fosse per l´abuso del termine, definirei senza problemi "epica".
Andiamo con ordine. Intanto Marco Olmo compirà a breve, il prossimo 8 ottobre, sessant´anni. Sì, signori: sessant´anni, metà dei quali passati a correre su e giù per le montagne e i deserti di mezzo mondo. «Ma non la prima metà: semmai la seconda», osserva subito lui, un po´ sornione e un po´ modesto dietro quel curioso accento cuneese che non sa di nessun luogo preciso, ma che subito ti fa venire in mente queste valli dove finisce il Piemonte e comincia la Francia.
E qui c´è la prima cosa che ti spiazza: uno che comincia a correre quando gli altri di solito smettono, uno che alla prima corsa in paese, a quasi trent´anni, arriva sesto su sette e solo perché il settimo ha sbagliato strada, uno che si rende conto di essere più mulo che cavallo, e di avere più chances degli altri solo a patto che la fatica diventi indiavolata, dà già molto da pensare. Poi scopro le sue vite precedenti, come le chiama lui, e tutto si chiarisce, anche il senso di una corsa che si fa quasi missione.
Di famiglia contadina, Olmo ha vissuto sulla propria pelle la drammatica stagione dell´abbandono della campagna che qui, alle spalle della Bisalta e di Cuneo, nei luoghi magistralmente affrescati da Nuto Revelli ne «Il Mondo dei Vinti», ha assunto le proporzioni di un esodo biblico. «Sono scappato anche io da una campagna che qualcuno, da qualche parte, aveva voluto svendere, perché servivano braccia alle industrie necessarie a sostenere il boom».
Marco Olmo va a lavorare in quel cementificio che ancora oggi allunga l´ombra della sua possente mole sui contrafforti della montagna di Robilante e Vernante. Intanto corre, benché un´ora libera per gli allenamenti non gliel´abbiano mai data in tanti anni. «Il mondo intorno a me, il mio mondo, cambiava, e io lo vedevo mutare correndo lungo i sentieri, vedevo le baite andare in rovina, i turisti della domenica arrivare qui e non capire, o peggio ancora i nuovi sistemi di allevamento che anziché difendere la montagna la deterioravano».
Ecco il corridore-filosofo, ma ecco, anche, il corridore che inizia a vincere. «Nel 1985 vinco la mia prima corsa importante: siccome ho quasi quarant´anni, mi dico che è la vittoria della vita». Ripeterà così a ogni vittoria da allora, Marco Olmo, capace di giungere primo assoluto per due volte consecutive, nel 2006 e nel 2007, all´Ultratrail du Mont Blanc, l´Olimpiade delle ultramaratone: 163 chilometri no-stop intorno al gigante d´Europa, in cui ha trionfato lasciando a oltre un´ora i giovani americani ricoperti di sponsor e gli sherpa nepalesi.
Anche adesso che il mondo si sta accorgendo di lui (presto uscirà una sua biografia, mentre due giovani registi stanno preparando un documentario, in parte già visionabile sul sito www. unpassodopolaltro.it), Marco Olmo resta aggrappato alla sua profonda leggerezza. «Ricordo che in Mauritania correvo sulla cresta di una duna.
Ammetto con molta franchezza di non essere mai stato uno sportivo praticante di particolare costanza, eccezion fatta per qualche sana biciclettata negli anni della mia giovinezza. Ma ho sempre nutrito una grande passione per le gesta dei grandi protagonisti dello sport, specialmente per quelli che danno al gesto sportivo un significato che va al di là del risultato strettamente tecnico.
Faccio questa premessa perché ho qualche esitazione nel presentare uno dei miei recenti incontri, quello con l´ultramaratoneta di Robilante, Marco Olmo, "semplicemente" come corridore. Certo, i sempre più numerosi siti e servizi a lui dedicati snocciolano il suo palmarès al pari di qualsiasi altro valente atleta. Ma in lui c´è altro, al punto di fargli trascendere l´ambito dello sport e inserirlo in una categoria che, non fosse per l´abuso del termine, definirei senza problemi "epica".
Andiamo con ordine. Intanto Marco Olmo compirà a breve, il prossimo 8 ottobre, sessant´anni. Sì, signori: sessant´anni, metà dei quali passati a correre su e giù per le montagne e i deserti di mezzo mondo. «Ma non la prima metà: semmai la seconda», osserva subito lui, un po´ sornione e un po´ modesto dietro quel curioso accento cuneese che non sa di nessun luogo preciso, ma che subito ti fa venire in mente queste valli dove finisce il Piemonte e comincia la Francia.
E qui c´è la prima cosa che ti spiazza: uno che comincia a correre quando gli altri di solito smettono, uno che alla prima corsa in paese, a quasi trent´anni, arriva sesto su sette e solo perché il settimo ha sbagliato strada, uno che si rende conto di essere più mulo che cavallo, e di avere più chances degli altri solo a patto che la fatica diventi indiavolata, dà già molto da pensare. Poi scopro le sue vite precedenti, come le chiama lui, e tutto si chiarisce, anche il senso di una corsa che si fa quasi missione.
Di famiglia contadina, Olmo ha vissuto sulla propria pelle la drammatica stagione dell´abbandono della campagna che qui, alle spalle della Bisalta e di Cuneo, nei luoghi magistralmente affrescati da Nuto Revelli ne «Il Mondo dei Vinti», ha assunto le proporzioni di un esodo biblico. «Sono scappato anche io da una campagna che qualcuno, da qualche parte, aveva voluto svendere, perché servivano braccia alle industrie necessarie a sostenere il boom».
Marco Olmo va a lavorare in quel cementificio che ancora oggi allunga l´ombra della sua possente mole sui contrafforti della montagna di Robilante e Vernante. Intanto corre, benché un´ora libera per gli allenamenti non gliel´abbiano mai data in tanti anni. «Il mondo intorno a me, il mio mondo, cambiava, e io lo vedevo mutare correndo lungo i sentieri, vedevo le baite andare in rovina, i turisti della domenica arrivare qui e non capire, o peggio ancora i nuovi sistemi di allevamento che anziché difendere la montagna la deterioravano».
Ecco il corridore-filosofo, ma ecco, anche, il corridore che inizia a vincere. «Nel 1985 vinco la mia prima corsa importante: siccome ho quasi quarant´anni, mi dico che è la vittoria della vita». Ripeterà così a ogni vittoria da allora, Marco Olmo, capace di giungere primo assoluto per due volte consecutive, nel 2006 e nel 2007, all´Ultratrail du Mont Blanc, l´Olimpiade delle ultramaratone: 163 chilometri no-stop intorno al gigante d´Europa, in cui ha trionfato lasciando a oltre un´ora i giovani americani ricoperti di sponsor e gli sherpa nepalesi.
Anche adesso che il mondo si sta accorgendo di lui (presto uscirà una sua biografia, mentre due giovani registi stanno preparando un documentario, in parte già visionabile sul sito www. unpassodopolaltro.it), Marco Olmo resta aggrappato alla sua profonda leggerezza. «Ricordo che in Mauritania correvo sulla cresta di una duna.
A un certo punto mi sono voltato e le mie impronte se l´era già portate via il vento del deserto. Ecco, nella vita bisognerebbe fare come in quella corsa: passare lievi, senza rovinare l´incanto del mondo». Vegetariano convinto, scettico verso certi "fenomeni da baraccone" dello sport professionistico, titanico come Zàtopek e cristallino come Forrest Gump, Marco Olmo ha fatto della sua corsa un espediente per tradire il tempo, salendo così in alto dove lui non l´ha ancora saputo trovare.
Ma la corsa diventa anche la più efficace trasposizione di come dovrebbe essere la vita, nella quale non sempre chi finisce primo è anche necessariamente il migliore, mentre nella corsa non ci sono scorciatoie che tengano, e non si è primi perché si è più furbi, ma solo perché si è avuta più volontà. Questo è Marco Olmo, e questa è la risposta con cui, congedandoci, desidera definire se stesso: «Sono ciò che scrivono sulla t-shirt alla fine di una famosa gara: un "sopravvissuto" ».(29 settembre 2008)
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