A Mantova presso la sede della Polisportiva S. Pio X di viale Fiume 15, l’Ing. Fabrizio Veneziani – responsabile del gruppo podistico – ha avuto la brillante idea di organizzare un incontro pubblico durante il quale numerosi rappresentanti del mondo podistico amatoriale, mantovano e non, hanno potuto conoscere da vicino Marco Olmo, fortissimo ultramaratoneta cuneese. Moderatore della serata, il giornalista Franco Faggiani, autore del libro “Correre è un po’ come volare”, dedicato alla vita e alle gare dell’instancabile corridore che, a 61 anni, ancora calca la scena delle più prestigiose manifestazioni internazionali. Nella sua email di invito, Veneziani indicava Marco Olmo come “ultramaratoneta dalle caratteristiche atletiche ed umane uniche, un uomo con uno stile di vita che vi sorprenderà al di là del lato puramente sportivo”. Ed io sono rimasto sorpreso veramente: appena entrato nella sala in cui sarebbe avvenuto l’incontro, iniziavo a scambiare qualche parola con i numerosi atleti conosciuti e, chiacchierando allegramente, ne io ne le persone attorno a me ci siamo accorti che Marco era già arrivato. Se ne stava in disparte e guardava i presenti con vivo interesse: era la star della serata, ma non entrava in pompa magna, si compiaceva della presenza di tanti ammiratori accorsi per acclamarlo e per ascoltare direttamente dalla sua bocca il racconto delle sue innumerevoli avventure semplicemente ricambiando gli sguardi con uno straordinario sorriso, ma rimanendo defilato come un ospite che abbia bisogno di ricevere il consenso del padrone della casa per entrarvi.
Questa è una delle tante qualità di questo campione atipico: la sua presenza non buca prepotentemente la scena, come si potrebbe pensare considerando la fama, il blasone del personaggio, e questo è dovuto proprio al grandissimo spessore umano di Marco Olmo.
Egli non ha bisogno di attirare l’attenzione perché le sue imprese sportive, che età e non perfette condizioni fisiche rendono davvero impressionanti, parlano da sole: quando si corre solamente per passione non si cerca questo o quel record ma si muovono le gambe per il semplice fatto che si trova molto piacevole il farlo e il farlo in condizioni estreme e, soprattutto, in scenari che mozzano il fiato, è l’unico vero premio al quale ambisce il nostro cuore.
Marco è “un’anima pura”, un campione vero. Pierre De Coubertin si rivolterebbe nella tomba: no, non per una qualche apprensione, piuttosto per non aver potuto conoscere questo piemontese che decisamente vive la corsa come la professione di una Fede. Per Marco non è importante trionfare ma combattere, non è importante l’aver vinto ma l’essersi ben battuto.
Prima che il pubblico presente in sala rivolgesse le dovute domande all’ospite sono stati proiettati alcuni filmati: un documentario basato sull’ultima partecipazione di Marco alla Marathon des Sables, un documentario sulla Ultra Trail du Mont Blanc (da lui vinta) e un “trailer” del film-documentario “Il Corridore” del 2009, dedicato alla stagione sportiva 2008, dove si ripercorrono anche le tappe significative della sua entusiasmante carriera sportiva.
Gli acciacchi, dovuti pure alla non più verde età, a suo dire “non vanno più via perché si sono affezionati”: riuscissimo tutti quanti ad accettare così serenamente quelle sensazioni sgradevoli che, puntualmente, ci colpiscono…
Ho definito Olmo un campione atipico: per sua stessa ammissione, niente integratori, niente stretching, orologio al polso solo per determinare l’ora, il gps… cos’è? Insomma, il solito dubbio atroce che tonnellate di relazioni di luminari della medicina (sportiva e non) attestanti la comprovata certezza di questo o quel metodo particolare per preservare il fisico, per migliorare il recupero, per schizzare a mille, e chi più ne ha più ne metta, non abbiano alcun valore certo: ogni individuo è meravigliosamente unico, sciocco pensare che esista un metodo che non tenga pienamente conto di questa certezza assoluta.
Ma una certezza assoluta ce l’ha anche Marco: correre è una sensazione unica, perché mai si dovrebbe smettere?
Lucio Meneghetti
Questa è una delle tante qualità di questo campione atipico: la sua presenza non buca prepotentemente la scena, come si potrebbe pensare considerando la fama, il blasone del personaggio, e questo è dovuto proprio al grandissimo spessore umano di Marco Olmo.
Egli non ha bisogno di attirare l’attenzione perché le sue imprese sportive, che età e non perfette condizioni fisiche rendono davvero impressionanti, parlano da sole: quando si corre solamente per passione non si cerca questo o quel record ma si muovono le gambe per il semplice fatto che si trova molto piacevole il farlo e il farlo in condizioni estreme e, soprattutto, in scenari che mozzano il fiato, è l’unico vero premio al quale ambisce il nostro cuore.
Marco è “un’anima pura”, un campione vero. Pierre De Coubertin si rivolterebbe nella tomba: no, non per una qualche apprensione, piuttosto per non aver potuto conoscere questo piemontese che decisamente vive la corsa come la professione di una Fede. Per Marco non è importante trionfare ma combattere, non è importante l’aver vinto ma l’essersi ben battuto.
Prima che il pubblico presente in sala rivolgesse le dovute domande all’ospite sono stati proiettati alcuni filmati: un documentario basato sull’ultima partecipazione di Marco alla Marathon des Sables, un documentario sulla Ultra Trail du Mont Blanc (da lui vinta) e un “trailer” del film-documentario “Il Corridore” del 2009, dedicato alla stagione sportiva 2008, dove si ripercorrono anche le tappe significative della sua entusiasmante carriera sportiva.
Gli acciacchi, dovuti pure alla non più verde età, a suo dire “non vanno più via perché si sono affezionati”: riuscissimo tutti quanti ad accettare così serenamente quelle sensazioni sgradevoli che, puntualmente, ci colpiscono…
Ho definito Olmo un campione atipico: per sua stessa ammissione, niente integratori, niente stretching, orologio al polso solo per determinare l’ora, il gps… cos’è? Insomma, il solito dubbio atroce che tonnellate di relazioni di luminari della medicina (sportiva e non) attestanti la comprovata certezza di questo o quel metodo particolare per preservare il fisico, per migliorare il recupero, per schizzare a mille, e chi più ne ha più ne metta, non abbiano alcun valore certo: ogni individuo è meravigliosamente unico, sciocco pensare che esista un metodo che non tenga pienamente conto di questa certezza assoluta.
Ma una certezza assoluta ce l’ha anche Marco: correre è una sensazione unica, perché mai si dovrebbe smettere?
Lucio Meneghetti
2 commenti:
Complimenti per il documentario, molto ben fatto ed emozionante; penso che faccia ben capire la persona che è Marco.
Si dice che un grande uomo abbia sempre al suo fianco una grande donna.. e Renata lo è davvero.
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